Fuga dalle facoltà scientifiche, eppure convengono 
di Gian Guido Vecchi 
(Corriere della Sera domenica 12 ottobre 2003)

Crollo nelle iscrizioni a matematica, fisica e chimica. «Gli sbocchi lavorativi ci sono, però mancano gli incentivi» 
L' ITALIA DELL' UNIVERSITA' . 2.  I CORSI 
Seconda tappa del viaggio nelle università italiane. Soprattutto al Nord si registra un numero di laureati in materie scientifiche inferiore alla domanda. A Siena solo 15 immatricolazioni a matematica pura, a Milano e Roma poche decine. Ricerca in crisi e di questo passo mancheranno anche gli insegnanti alle superiori * Si racconta che Platone avesse fatto mettere un avviso all' ingresso della sua Accademia: «Non entri chi non sa di matematica!». Fosse così anche oggi, l' Accademia italiana potrebbe chiudere baracca e burattini, o quasi. L' ultimo anno, per dire, il ministero dell' Università ha registrato 346.528 matricole e a matematica pura se ne contano 1.747; facoltà di media grandezza come Siena viaggiano intorno ai quindici, Roma o Milano ne radunano poche decine e anche a fisica (1.881 in tutto), chimica (4.757) e in generale nelle scienze «dure» i nuovi discepoli tendono a essere numerosi come i panda. «Non ci sono dubbi, specie al Nord stiamo producendo una quantità di laureati in materie scientifiche inferiore alla domanda», riassume il professor Alessandro Figà-Talamanca, già presidente e ora consigliere dell' Istituto nazionale di alta matematica e membro del comitato nazionale di valutazione del sistema universitario. Non è una situazione simpatica. Avanti così «mancheranno insegnanti pure alle superiori» e il sistema industriale «la pagherà in capacità innovativa». Di più: il Paese di Galileo «perderà scienziati». Magari fino ad «aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto», come diceva l' autore del Saggiatore a chi non conosceva la «lingua matematica». OCCUPAZIONE - Il professor Angelo Panebianco ricordava sul Corriere che la fuga dalle facoltà scientifiche «è l' altra faccia di quel rischio di deindustrializzazione che minaccia i futuro del Paese». Le ultime cifre elaborate dal comitato di valutazione la dicono lunga: la Facoltà di Lettere e Filosofia ha fatto la parte del leone, oltre 54 mila matricole, cioè il doppio della Facoltà di Scienze, appena 27 mila distribuiti in una quantità di discipline. Giurisprudenza, per dire, arriva a 36 mila. Eppure tutto questo non sembra avere rapporto con i dati sull' occupazione a tre anni dalla laurea: l' ultimo quaderno dell' «Associazione Treellle», citando l' Istat, mostra come i laureati del gruppo scientifico siano occupati al 79 per cento, solo il 9 è disoccupato (quelli che restano sono impegnati in corsi di formazione post-laurea). La situazione peggiore riguarda invece la gettonatissima Giurisprudenza, con un misero 55 per cento di occupati e un 30 per cento secco di giovani senza lavoro. Anche Lettere va peggio, 69 per cento di ragazzi che lavorano e 22 di disoccupati. La situazione più coerente è quella di Ingegneria, apprezzata (38 mila iscritti) e redditizia: 91 per cento di occupati dopo tre anni, e solo il 4 senza lavoro. SCIENZA PURA E APPLICATA - E allora perché, Ingegneria a parte, si evitano le materie scientifiche? Il punto più basso di iscrizioni, in realtà, si toccò nell' anno 1999/2000, appena 21 mila matricole, ma la crescita è più apparente che reale e si deve al nuovo ordinamento, i «tre anni più due»: con la prima laurea triennale sono aumentate le iscrizioni a tutte le discipline, in fondo «si fa prima», e anche in questo caso le facoltà umanistiche incassano una crescita maggiore. Ma non si tratta solo di questo, «l' essenziale è che all' interno della Facoltà di Scienze c' è stato uno spostamento deciso verso altri settori, rispetto a quelli tradizionali», spiega il professor Carlo Calandra, altro membro del comitato e docente di Fisica a Modena. «Aumenta l' informatica, in misura minore la biotecnologia, e calano matematica, fisica, chimica...». La biologia regge, ma bisogna considerare quelli che si iscrivono perché sono stati respinti ai test d' ammissione a Medicina e contano di rientrare in qualche modo. Le verità, insomma, è che le scienze pure sono in crisi. Accade in tutto il mondo occidentale, è vero, ma tanto per cominciare «da noi c' è un aspetto patologico: la ricerca è asfittica, siamo un Paese che non si crea prospettive», dice il professor Calandra. RICERCA - La spesa statale per la ricerca universitaria, in Italia, raggiunge lo 0,25 per cento del Pil, la metà della media nell' Unione europea, 0,48. Contando anche gli enti di ricerca e le imprese, la percentuale arriva all' 1, mentre negli altri Paesi industrializzati oscilla fra il 2 e il 3. Chiaro che ci vadano di mezzo soprattutto le scienze sperimentali, «sono forse le più pesanti e anche un giovane motivato, sapendo quanto la carriera sia incerta e lunga, ci pensa due volte». Per la chimica, poi, si aggiunge un problema di immagine, «si tende a percepirla come una cosa ""sporca"", il chimico è quello che inquina!. E pensare che le aziende li prendono al volo...». IMMAGINE - Ma il problema d' immagine è più generale, «lo scienziato non è di moda, in occidente la professione di maggiore prestigio è il manager, quello ""importante"" dirige il lavoro degli altri. Se Ingegneria fa eccezione è perché molti si iscrivono con l' idea di fare il dirigente, non di progettare o di creare», spiega ancora il professor Figà-Talamanca. Il crollo degli aspiranti scienziati vale dappertutto, «anche negli Stati Uniti, soltanto che là se lo possono permettere perché importano cervelli in massa: oltre la metà di quelli che fanno il Phd in scienza arrivano dall' Asia o dall' Est Europa». Solo che è difficile arrivino pure in Italia, «qui i giovani sono sottopagati in maniera incredibile, un ragazzo che prende il dottorato guadagna meno d' un terzo di quanto prenderebbe in un qualsiasi Paese europeo». PREPARAZIONE - Altro problema: non solo i ragazzi arrivano col contagocce, «ma vent' anni fa buttavo fuori studenti cui adesso do 24», sospira il professor Paolo Costantini, direttore del dipartimento matematico a Siena. Lo dice anche Figà-Talamanca, «in genere la scuola secondaria non prepara più alle lauree scientifiche, un collega di statistica mi diceva che da loro hanno previsto 24 ore di lezioni introduttive, di ripasso, ma la maggior parte degli atenei non si è ancora attrezzata». RIMEDI - Ma non bisogna disperare, «la novità è che adesso se ne parla, l' editoriale del professor Panebianco sul Corriere è un segno importante e del resto pare che il problema sia sentito pure dal governo, a luglio un decreto legge diceva che bisogna incentivare le iscrizioni, non dice come ma è già qualcosa, mi lasci sperare», sorride il professor Figà-Talamanca. Del resto si tratta anche di far capire che le lauree scientifiche, nonostante i problemi della ricerca, alla fine convengono: «Gli sbocchi lavorativi sono concreti. D' altra parte un' industria che si vuole innovare ha bisogno di competenze scientifiche, altrimenti addio...». L' Istituto nazionale di alta matematica (http://indam.mat.uniroma1.it) fa il possibile, «ogni anno offriamo 50 borse di studio ai meritevoli, ci proponiamo di vincere la resistenza delle famiglie che dicono ai ragazzi: devi studiare economia!». Gian Guido Vecchi (2 - Continua) 0,25% LA PERCENTUALE del Pil raggiunta dalla spesa statale destinata alla ricerca universitaria, è la metà della media Ue 21.000 E' IL NUMERO più basso di iscrizioni nelle facoltà scientifiche: fu toccato nel 1999-2000 79% LA PERCENTUALE dei laureati delle facoltà scientifiche occupati a tre anni dalla laurea.