Troppi ragazzi sognano di fare le rockstar e se c' è un genio la burocrazia lo stronca
di Gian Guido Vecchi 
(Corriere della Sera domenica 12 ottobre 2003)

Professore, ma lei cosa direbbe a un ragazzo che vuole iscriversi a matematica? «Guardi, appena finita la terza liceo, dopo la maturità, andai a trovare il mio vecchio insegnante di matematica alle medie, si chiamava Bontadi e ormai era in pensione. Appena gli ho rivelato le mie intenzioni mi ha detto: ""No! Non farlo! Lavori tanto e le soddisfazioni sono poche...». Enrico Bombieri ride, è il più grande matematico italiano e uno dei massimi matematici del pianeta, a novembre compirà 63 anni e da 25 è professore all' Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey, come già Albert Einstein e Robert Oppenheimer. Nel 1974 ha ricevuto la Field' s Medail, il «Nobel» della disciplina, per le sue ricerche sulla teoria dei numeri e la teoria delle superfici minime. «E ora eccomi qui, sono le 7 di sera e sto cercando di capire un certo calcolo - spiega al telefono -, la matematica non si fa in orari d' ufficio, magari sei al cinema, il film è noioso... A volte prima d' andare a letto prendo carta e penna e butto giù un po' di idee, poi ci dormo sopra e vedo se la mattina sono ancora valide, sa com' è, è il mio lavoro, ma la verità è che mi diverto ancora...». Secondo lei perché i ragazzi tendono a evitare le scienze «pure» come matematica o fisica? «Beh, anzitutto c' è un problema di cultura generale, in Italia come nel resto d' Europa e negli Stati Uniti. Nel ' 56, ai tempi dello Sputnik, i Paesi occidentali decisero che non potevano restare indietro e investirono, ci fu una spinta enorme alla ricerca scientifica. Oggi è diverso, c' è molta pseudoscienza, giornali e tv parlano più di oroscopi e medicine alternative. In Italia esiste un telegiornale o una trasmissione che ogni settimana, anche solo per 5 minuti, aggiorni sulle ultime scoperte scientifiche? Non mi meraviglia che i ragazzi preferiscano altre carriere. C' è molta enfasi sul guadagno, i soldi facili, la finanza, l' industria, è chiaro che i migliori non scelgano certo una carriera lunga, faticosa, con risultati incerti...». E in Italia? «Si aggiungono problemi strutturali che sono assai seri. Non so lì, ma visto da lontano appare un sistema molto burocratico, basato esclusivamente sull' anzianità, è un po' dura. In Italia esistono ottimi matematici, di gran classe. Ma non c' è un sistema che incoraggi la formazione, premi e investa nei migliori, i fondi sono mal distribuiti e mal spesi. Ogni tanto viene fuori qualche stella di prima grandezza ma è questione di persone. E se non c' è un sistema per coltivare i migliori, i migliori tendono ad andarsene. Non tutti, certo, ma persone di prim' ordine che negli Usa sarebbero subito full professor, in Italia devono fare l' associato per dieci anni, siamo matti?». Ovvio che un ragazzo appena uscito dal liceo ci pensi due volte... «Per forza. Se la carriera è così incerta, il lavoro duro e la ricerca impopolare è chiaro che uno sogni di fare la rockstar piuttosto che lo scienziato, a meno che sia davvero appassionato». E lei come stava, in Italia? «Io benissimo. Mi sono laureato alla Statale di Milano, poi ho insegnato all' università di Pisa e alla Scuola Normale, molto interessante: gli studenti erano superselezionati. Dopodiché, nel ' 77, mi ha chiamato Princeton e non potevo dir di no, siamo nel centro mondiale della matematica...». Nessun problema, insomma? «Per la verità ricordo quando parte del mio stipendio era andata a finire in obbligazioni che non potevo convertire per 10 anni, non è una di quelle cose che mi abbiamo incoraggiato a restare». La burocrazia di cui si diceva... «Torno in Italia ogni anno e lo faccio volentieri, ci sono collaboratori che lavorano benissimo, ma in un piccolo dipartimento di matematica mi è capitato di vedere computer che non avevano ancora fatto il passaggio al 2000, non so chi fosse l' incaricato ma negli Usa l' avrebbero cacciato dopo tre settimane, altro che tre anni. Vuoi fare un acquisto in biblioteca e occorre un' eternità per l' approvazione, come si fa? La scienza va avanti. Professori invitati dagli Stati Uniti a tenere dei corsi anticipano le spese e poi devono aspettare mesi prima del rimborso. Ne conosco più d' uno, poi non vengono più. Conosco anche borsisti che hanno dovuto aspettare sei mesi il primo assegno. E poi: possibile che ci siano atenei che chiudono il fine settimana? E se io voglio andare in ufficio alle tre di notte della domenica? Niente, il custode ha chiuso. Al Politecnico di Zurigo mi danno le chiavi!». Prima parlava di problema culturale e pseudoscienza, ma non viviamo nell' era della scienza trionfante, della tecnologia? «La tecnologia non è di per sé scienza, è l' applicazione della scienza. E noi siamo abituati a sentire le scoperte tecnologiche come dovute, l' elettricità è quella che si fa schiacciando l' interruttore, se va bene. Stavo in Italia quando c' è stato il blackout...». È vero che lei dipinge? «E come no, a volte mi commissionano ritratti, ho fatto mostre dei miei quadri, li vendo pure». Libri? «Più di tutti amo Borges, mi interessa il suo stile, l' immaginazione. E Dante, naturalmente, Dino Buzzati...» Resta il fatto che lei non diede retta al suo professore delle medie, per fortuna... «Ma no, Bontadi capì subito. Gli raccontai che ero appassionato, che stavo già facendo ricerche abbastanza avanzate e allora lui si alzò, andò a prendere i libri d' Analisi di Ulisse Dini, che era stato suo maestro, e me li porse: ""Tienili tu"", disse, ""vedrai che ti piacerà!""». G. G. V.